Andrea Cernicchi sul Centro Storico: “Le cose che i perugini non si dicono”
La tesi che intendo sostenere in questo mio intervento coincide con il seguente enunciato: quando parliamo del centro storico non abbiamo il coraggio di dirci tutta la verità ,  conosciuta e largamente condivisa, artatamente e sottilmente taciuta. Alcuni raffinati commentatori si affannano nel denunciare le carenze che l’amministrazione avrebbe avuto nel progettare la città , evidenziando in tali mancanze la causa fondamentale di ogni male. Errori sicuramente ci sono stati e noi, odierni amministratori che nel 1980 frequentavamo i primi anni del ciclo scolastico, ce ne assumiamo la piena responsabilità . Ma continuare a ribadire la litania dei sindaci dei lavori pubblici, delle rotonde, dell’attenzione solo per le periferie rosse mi appare poco utile oltre che intellettualmente poco onesto.
Che cos’è che, a mio avviso, i perugini non si dicono:
• Le scelte che hanno contribuito a determinare l’attuale situazione non sono ascrivibili esclusivamente all’amministrazione municipale (sarebbe semplice se fosse così). Una comunità è come un vascello che naviga guidato dalle mani di più decisori (enti locali, categorie professionali e loro associazioni, proprietari immobiliari, università , commercianti, sindacati, organi periferici dello dello Stato).
• I perugini hanno lasciato il centro negli anni sessanta, settanta e ottanta per due motivi fondamentali: cercare abitazioni più dignitose nelle moderne periferie abbandonando i rioni popolari; affittare, magari in nero, appartamenti spesso non ristrutturati alla massa di studenti che in quegli anni hanno iniziato ad animare Perugia.
• Una delle principali opzioni alternative a quella dell’affitto diretto della casa di famiglia agli studenti, questo è il caso di mio nonno e della sua abitazione alla Conca, è stata la vendita a grandi proprietari che hanno acquistato decine e decine di appartamenti, divenendo così anche “proprietari†del mercato immobiliare.
• Stessa cosa per le superfici commerciali, progressivamente acquisite da un numero assai ridotto di soggetti che hanno determinato la attuali scelte merceologiche e che, ben più dell’Amministrazione, controllano i valori degli affitti.
• La nostra Università degli Studi, vero e proprio elemento identitario e cifra massima della peruginità assieme alla Università per Stranieri, deve oggi confrontarsi con un numero almeno quadruplicato di opzioni. Con Roma 2, Roma 3, l’Università della Tuscia, Camerino e con il potenziamento di molti Atenei meridionali è aumentata la possibilità di scelta, con la conseguente diminuzione degli iscritti a Perugia; anche molti bravi professori hanno maggiori possibilità di scegliere.
• Troppi perugini pretendono che gli studenti vengano, studino, affittino, comprino, ma tutto entro le 20.30, altrimenti si da fastidio.
• Troppi perugini vogliono la città vivibile e, possibilmente, vuota.
Molti sono oggi i problemi che attanagliano l’acropoli: spaccio di sostanze stupefacenti, recupero di spazi alla fruizione pubblica, aumento e diversificazione dell’offerta culturale e di intrattenimento, ridefinizione delle modalità di accesso. Tali problemi potranno essere adeguatamente affrontati solamente se decisori e cittadini, compiuta una comune operazione verità , smetteranno di scaricarsi le colpe vicendevolmente, convenendo che Perugia è di tutti, che tutti hanno il diritto di contribuire alle scelte oltre che il dovere di farlo, da Rancolfo a Porta Sole, da Mugnano al Borgo Bello.
Conclusione personale.
Sento il dovere, da amministratore e da cittadino, di esporre il mio un punto di vista, rischiando qualche antipatia, piuttosto che continuare ad assistere a questa sorta di commedia omertosa dove la trama, quella scritta, viene, troppo spesso, colpevolmente nascosta. Il nuovo metodo, utile ad approntare un’adeguata risposta alle questioni brevemente sollevate, dovrebbe consistere nel tentare di superare quegli interessi corporativi che negli anni si sono evidentemente strutturati, assumendosi ognuno le rispettive responsabilità nell’ottica di un destino comune che, ricordo, stante lo spirito dei tempi non vedrà qualcuno salvarsi e altri no. La città , tutta, o va in paradiso o precipita nel peggiore dei gironi infernali.